Il Petrolio
di Miriano Botteghi
(Il Carbone ha avviato la rivoluzione industriale, il petrolio le ha dato un’enorme accelerazione!)
Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità.
Filippo Tommaso Marinetti – Le Figaro 20 febbraio 1909
L’era che stiamo vivendo, sarà ricordata come quella del petrolio. Il petrolio è ovunque, nei fertilizzanti, nei tessuti in fibra sintetica, nelle plastiche, in molti farmaci, nella produzione di energia elettrica, nel riscaldamento ecc.
Anche se non è la fonte energetica principalmente utilizzata per la produzione di elettricità, dipendiamo quasi totalmente dal petrolio per quanto concerne il mondo dei trasporti terrestri, navali, aerei ed altri simili come quello ad esempio delle escavazioni (miniere, stradali ecc).
Nelle varie fasi evolutive, l’uomo, come qualunque altra specie vivente, ha dovuto trovare, suo malgrado, un equilibrio demografico con le risorse energetiche disponibili.
Nel periodo preistorico, l’uomo, principalmente cacciatore e raccoglitore di frutti, poteva moltiplicarsi solo a condizione che, le risorse di sostentamento, fossero proporzionalmente disponibili. Tale processo di aumento della popolazione, avrebbe inesorabilmente raggiunto il suo valore massimo, al raggiungimento del picco di tali risorse.
In pratica, le popolazioni tribali, hanno sempre vissuto al limite dello stretto rapporto consentito tra numero di individui e prede disponibili. C’è infatti un limite fisico, al di sotto del quale non è possibile andare. E’ il limite imposto dalla quantità minima di Joule che un cacciatore deve assumere con l’alimentazione, per sostenere il costo energetico della sua stessa attività di caccia!
Il numero degli abitanti per ogni zona geografica, è sempre stato proporzionale alla disponibilità di cibo e di acqua, e quindi di Energia. Qualunque aumento della popolazione poteva essere tollerato dall’ecosistema, nella misura in cui, le risorse stesse lo avrebbero consentito. La disponibilità di cibo rende possibile l’aumento demografico fino al limite in cui, per sfamare nuovi nati, dobbiamo trovare nuove risorse energetiche. La necessità di sfamare l’aumento demografico della popolazione è stata il motore che ha spinto l’umanità ad espandersi nel territorio, scontrandosi ripetutamente con le popolazioni che ivi, di volta in volta, venivano incontrate.
In pratica, qualsiasi popolo preistorico, raggiunta la massima espansione demografica che le risorse del territorio gli consentivano, in termini di cacciagione e frutti disponibili, aveva poche opzioni di sopravvivenza. Poteva dichiarare guerra ai vicini, facendo proprie le loro risorse energetiche, oppure poteva dividersi in gruppi, alcuni dei quali sarebbero stati costretti a partire per territori, talvolta molto lontani, alla ricerca di cibo, di nuova Energia e di zone inesplorate. Un'altra possibilità, poteva essere quella di imparare a controllare le nascite e trovare, così facendo, un equilibrio tra il numero di individui e la quantità di risorse energetiche disponibili per kmq.
Per rompere questo equilibrio, durato decine di migliaia di anni, è stato necessario un netto salto culturale. L’uomo ad un certo punto ha imparato ad usare l’energia solare grazie alla fotosintesi clorofilliana.
Era nata l’agricoltura. La gestione delle acque per rendere possibile l’irrigazione, la messa a punto di tecniche di coltivazione, avevano cambiato le carte in tavola. La disponibilità energetica era aumentata e con lei la densità della popolazione per kmq. Ovviamente un salto culturale di così vasta portata non sarebbe stato possibile senza la scrittura e la conseguente possibilità di tramandarsi le tecniche necessarie, di generazione in generazione. Le prime testimonianze di tale evento ci sono state riportate dai Sumeri attraverso la loro scrittura cuneiforme. All’epoca, un solo contadino, era già in grado di sostenere l’alimentazione di 4 persone!
Ovviamente l’aumento della disponibilità energetica avrebbe reso possibile l’aumento demografico fino al limite successivo.
Da una più approfondita analisi dell’andamento demografico mondiale nel tempo, risulta molto evidente lo stretto legame tra disponibilità energetica e densità della popolazione.
Dalla catastrofe di Toba (la più grande eruzione vulcanica di cui abbiamo notizia, negli ultimi 25 milioni di anni), avvenuta probabilmente tra 70.000 e 75.000 anni fa, siamo passati da poche migliaia di individui superstiti a 1 milione di abitanti, il cui sostentamento sostanzialmente era basato su caccia e raccolta di viveri. Si ritiene che, il picco di un milione di abitanti, sia rimasto invariato fino al consolidarsi delle tecniche agricole e di domesticazione, processo iniziato almeno 10.000 anni fa. Il sostentamento basato sulla caccia e sulla raccolta, non permetteva infatti l’incremento costante della popolazione, la cui densità, rimase quindi molto bassa per tutto il periodo pre-agricolo.
In seguito all’affermarsi delle tecniche agricole, l’umanità ha goduto di un deciso aumento demografico. Si stima che, dal 300 al 400 d.C., l’impero romano, contasse dai 55 ai 120 milioni di abitanti!
Nel XIV secolo, la popolazione umana, probabilmente contava circa 400 milioni di abitanti.
Dovevamo attendere però la rivoluzione industriale (dalla fine del XVIII secolo al 1.850 d.C.) perché l’umanità potesse godere del secondo grande incremento demografico. Infatti, importanti scoperte scientifiche, avevano indicato il modo di utilizzare i grandi giacimenti di carbone quale nuova fonte energetica universale. In particolare fu l’invenzione della macchina a vapore dovuta principalmente all’inglese Thomas Newcomen (1663-1725) che, nel 1705, insieme ad altri, ne realizzò il primo prototipo, a fare la differenza. In seguito la macchina fu perfezionata dallo scozzese James Watt (1736-1819).
Ma cosa era successo in sostanza? Perché la macchina a vapore è stata la principale artefice secondo il mio modesto parere dell’aumento demografico senza precedenti che, di li in seguito avvenne?
La meccanizzazione dell’agricoltura grazie alla produzione in serie di aratri, unitamente all’utilizzo di nuove tecniche agricole come ad esempio la rotazione pluriennale (in contrapposizione alla rotazione biennale), avevano aumentato di molti fattori la produttività dei terreni, all’inizio in Inghilterra e successivamente nel resto dei paesi interessati dalla rivoluzione industriale. Inoltre la macchina a vapore fece da apripista a tutta una serie di macchine successive, come ad esempio il motore a scoppio e il motore elettrico, che ci permisero di utilizzare ingenti giacimenti di energia fossile disponibile nel sottosuolo del pianeta. Tali macchine c’hanno permesso anche di aumentare di vari fattori la capacità produttiva in qualsiasi settore necessario al sostentamento umano.
Altresì, l’aumento della velocità dei contatti umani, grazie al treno a vapore (utilizzato inizialmente nelle miniere di carbone di inizio 1800 d.C.) e alla stampa, garantivano un nuovo e proficuo fluire delle idee e delle nuove scoperte.
In seguito alla rivoluzione industriale, la popolazione mondiale, in soli due secoli, raddoppiò (470 ML nel 1650 d.C.; 600ML nel 1.700 d.C.; 1.128 ML nel 1.850 d.C.
L’Europa in particolare, nel corso del XIX secolo raggiunse il doppio dei suoi abitanti rispetto al periodo preindustriale. Il numero degli Europei passò da 100 a 200 milioni di abitanti!
La popolazione raddoppiava di nuovo tra il 1850 e il 1930 passando da 1.128 ML a 2.070 ML di abitanti in meno di un secolo. Eravamo infatti in piena seconda rivoluzione industriale. L’era del petrolio e dell’energia elettrica.
Tra il 1.850 e il 1.914, l’Europa fu profondamente trasformata da un’ondata di innovazioni tecnologiche. La prima rivoluzione industriale, caratterizzata dalla macchina a vapore, aveva automatizzato l’industria tessile e metallurgica. La seconda rivoluzione industriale prometteva di cambiare tutti gli altri processi produttivi. L’energia meccanica iniziava ad essere utilizzata nell’automazione industriale di qualsiasi manufatto. La capacità produttiva dei generi alimentari, dei materiali da costruzione, delle macchine agricole e da trasporto era drasticamente aumentata e con lei la popolazione umana e la conseguente necessità energetica.
Di li a poco, l’umanità avrebbe conosciuto il maggior incremento demografico di cui abbiamo notizia.
La velocità di crescita più elevata la si raggiunse nel 1975 raddoppiando gli abitanti del pianeta in soli 35 anni e raggiungendo i 4 miliardi di abitanti!
Era nato il mito dell’economia SEMPRE CRESCENTE! Qualunque incremento della popolazione o delle sue esigenze, potevano essere compensati da una crescente produttività, garantita da una crescente disponibilità energetica. Trascurando infatti tutti gli altri parametri necessari a mantenere un’economia in crescita, come ad esempio clima costante, disponibilità delle materie prime ecc, una disponibilità energetica crescente è condizione essenziale affinché un’economia cresca.
Il saccheggio delle “riserve energetiche del giurassico”, l’utilizzo massiccio dei combustibili fossili, ha avuto, tra le varie conseguenze, quella di accelerare enormemente tutti gli eventi storici. Gli avvenimenti, prima dilatati nel tempo, hanno subito una brusca accelerazione e sono diventati evidenti, per la prima volta, nell’arco di una sola vita umana.
Ma il mito dell’economia sempre crescente è perseguibile? Oppure è una chimera?
Ogni fisico sa che qualsiasi fenomeno non può crescere illimitatamente in un sistema chiuso e il nostro pianeta è un sistema chiuso!
Ma allora perché alcuni economisti sono di diverso parere?
Io sono dell’opinione che una formazione troppo specialistica, talvolta, renda miope lo studioso, anche davanti all’evidenza dei fatti.
Molti studiosi hanno affrontato il problema delle difficoltà che una popolazione umana in continua crescita, prima o poi avrebbe dovuto affrontare in un mondo finito. Ad esempio Jay Forrester inventore della memoria RAM dei computer, fece una analisi multidisciplinare che chiamò “dinamica dei sistemi”. Questa teoria nota anche come modello dei limiti della crescita (anche noto come modello del Club di Roma, dal nome della organizzazione che aveva commissionato lo studio). Secondo il modello di Forrester, l’aumento esponenziale della popolazione e del consumo di risorse limitate, unitamente all’assorbimento di inquinanti, avrebbe condotto l’umanità verso un grave declino della qualità della vita e verso una drastica riduzione della popolazione mondiale.
Anche il picco della produzione di petrolio negli Stati Uniti avvenuto nel 1970 era stato previsto nel 1956 dal geologo Marion King Hubbert. I suoi avvertimenti furono ignorati ma si rivelarono veri nel 1970 per il petrolio e nel 1973 per il gas naturale.
La crisi petrolifera del 1973 sembrò dar ragione a tutte queste voci. Ma l’interesse verso certi modelli di previsione come quello di Forrester, scemarono all’indomani dell’utilizzo di nuovi pozzi petroliferi al di fuori degli Stati Uniti, già noti ma mai utilizzati. A molti economisti non piaceva l’idea di limite alla crescita economica e alle attività umane. La diminuzione temporanea dei costi petroliferi dovuta all’introduzione sul mercato di nuove e ingenti quantità di greggio, sembrava dar ragione questa volta agli economisti.
Il costo della benzina, principale indicatore di disponibilità petrolifera, tornò temporaneamente a scendere, insieme alla speranza di riuscire a sensibilizzare gli economisti verso il futuro infausto che ci poteva attendere.
Secondo uno studio effettuato da Charles A.S. Hall (professore al College of Environmental Science and Forestry della State University of New York a Syracuse) e da John W. Day Jr. (professore emerito al Dipartimento di oceanografia e scienze costiere della Louisiana State University. Entrambi ecologi dei sistemi con diversi interessi e con esperienza nella gestione dell’energia e delle risorse), non esiste una definizione univoca di efficienza economica!
Cito testualmente dal loro lavoro di ricerca (Scientific American, settembre 2009 Nr 493 )
Diversi ricercatori, tra cui gli autori di questo articolo, hanno notato che il consumo di energia (fattore non considerato nelle equazioni degli economisti) è molto più importante di capitale, manodopera o tecnologia per spiegare l’aumento di produzione industriale di paesi come Stati Uniti, Giappone o Germania.
Secondo un’analisi di Vaclav Smil, negli ultimi dieci anni l’efficienza energetica dell’economia giapponese è diminuita del 10 per cento. Diverse analisi hanno dimostrato che la maggior parte delle tecnologie agricole richiede un uso intensivo di energia.
In altre parole, non appena si effettuano analisi dettagliate dell’intero sistema, i ragionamenti sono molto più complessi e ambigui, e si nota che la tecnologia raramente funziona da sé, ma tende a richiedere un consumo elevato di risorse.
In altri termini, una crescente disponibilità energetica è una condizione necessaria perché la produzione industriale aumenti.
La possibilità di aumentare l’offerta grazie a “esponenzialmente crescenti” iniezioni energetiche, nel nostro sistema produttivo ha garantito, per anni, bassi tassi di inflazione. L’industria, con operazioni di marketing sempre più sofisticate, stimola ancora oggi il mercato ad acquistare, senza preoccuparsi di non riuscire a produrre quanto richiesto. Il mio lavoro è quello di progettare impianti termodinamici ad alta efficienza energetica. Conosco le dinamiche di questo genere in aziende che stanno espandendo il loro mercato. Si modificano vecchi sistemi di produzione, se ne aggiunge di nuovi e si ricontratta la fornitura energetica con l’ente erogatore, magari raddoppiandola. Quando l’energia è abbondante ed economica, possiamo aumentare, apparentemente senza limiti, la nostra produzione e preoccuparci solamente di trovare nuovi mercati.
Nell’ampliamento dei mercati è sempre l’energia a giocare il ruolo da protagonista. Il basso costo dei “bunker Fuels” navali (così si chiamano in gergo i combustibile navali) e del Jet Fuel aeronautico, hanno reso possibile stravaganze impensabili in era preindustriale e a bassa disponibilità energetica. Ci possiamo permettere infatti di mangiare pesce fresco proveniente quotidianamente dalle più remote parti del mondo, a prezzi addirittura inferiori al pesce pescato sotto casa.
Nonostante io abiti in Toscana, terra da sempre a vocazione agricola, in grado di produrre praticamente tutto quanto ciò di cui abbiamo bisogno, nel mio supermercato, raramente trovo prodotti locali. Uno studio australiano (il continente più lontano da tutti glia altri), ha calcolato in 70.000 km la media delle distanze percorse da vari prodotti agricoli (un paniere di 25 in tutto) presenti nei loro supermercati, dall’azienda alla tavola. 20.000 km dei quali erano stati necessari solamente per percorrere il vasto territorio australiano, principalmente in camion.
Fino a quando tutto ciò sarà possibile?
Dopo la crisi del 2008 è ormai chiaro a tutti che ci sia una diretta correlazione tra l’aumento del costo del petrolio e l’aumento dei generi alimentari. Tutti ricordano le forti proteste esplose in ben 22 paesi a causa del rincaro dei cereali, all’indomani del superamento della soglia psicologica dei 100 dollari per un barile di greggio. Vi sono state proteste per la pasta in Italia, per le tortilla in Messico e del riso in Asia.
La connessione tra costo energetico e produzione agricola (ma anche di qualsiasi altro genere), è sempre stata sicuramente chiara (per non dire scontata), alla comunità scientifica dei fisici. In epoca preindustriale, il bilancio della produzione energetica da agricoltura era, gioco forza, attivo. Infatti, un agricoltore, per ogni caloria spesa nel lavoro agricolo, poteva ricavarne circa tre di tipo alimentare. Oggi, la grande disponibilità energetica, unitamente all’uso di grandi macchinari agricoli e camion, ha aumentato la produzione a discapito del rendimento. La situazione si è infatti invertita: per ogni caloria alimentare ricavata, ne spendiamo dieci!
L’agricoltura assorbe la maggior parte dell’energia disponibile, rispetto a qualsiasi altra attività umana.
In sostanza stiamo rapidamente trasformando tutte le “riserve del giurassico” in cibo, fino ad esaurimento!
Ma l'era del petrolio a buon mercato è finita!
Uno degli indicatori indiretti più illuminanti, sul reale stato della disponibilità petrolifera è il ritorno energetico dell'investimento, EROI (energy return on investment). L'Eroi è costantemente diminuito dal 1930 ad oggi. Negli Stati Uniti ad esempio, nel 1930, il ritorno energetico dell'investimento, era di 100 barili ogni 1 speso (100:1). Nel 2000 era già sceso a 14:1! Ma l'EROI è ancora più basso per il petrolio estratto dai fondali oceanici a 5.000 mt di profondità e in quello derivato dalla lavorazione delle sabbie bituminose del Canada (operazione oltretutto, disastrosamente inquinante!).
A parità di altri fattori, il ritorno energetico sull’investimento (EROI) è inferiore quando i tassi di perforazione sono alti, perché prospezione e perforazione richiedono ingenti quantità di energia. Oggi l’EROI, negli Stati Uniti, potrebbe avvicinarsi a 1:1 per la scoperta di nuovi giacimenti.
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Miriano Botteghi.