domenica 19 febbraio 2012

Picco del Petrolio, la previsione di Campbell

Nel maggio 1998 sul N°357 della prestigiosa rivista scientifica “Scientific American” (edizione italiana “Le Scienze”), venne pubblicato un articolo dal titolo: “Prevenire la prossima crisi petrolifera”. Gli autori Colin J. Campbell e Jean H. Laherrère, venivano così descritti: 

COLIN J. CAMPBELL e JEAN H. LAHERRÈRE lavorano nell'industria petrolifera da oltre 40 anni (nel 1998 n.d.r.). Laureatosi in geologia all'Università di Oxford, Campbell ha lavorato alla Texaco come geologo prospettore e quindi alla Amoco come geologo capo in Ecuador. I suoi studi sulle tendenze della produzione globale di petrolio hanno condotto alla pubblicazione di due libri e numerosi articoli. I lavori di Laherrère hanno contribuito alla scoperta del più imponente campo petrolifero africano. Per conto della Total è stato sovrintendente generale alle tecniche di esplorazione. Entrambi sono membri della Petroconsultants di Ginevra.

La rivista presentava l’articolo in questo modo:

Gli autori del primo articolo di questo speciale giungono alla conclusione secondo cui, prima della fine del prossimo decennio, la curva che descrive l'andamento della produzione mondiale di petrolio avrà il suo massimo, inizio di un irreversibile declino. Questi analisti si basano su un'impressionante raccolta di statistiche per dare consistenza alle proprie previsioni. Se hanno ragione, il mondo dovrà attrezzarsi al più presto per scongiurare l'impennata dei prezzi, la recessione e le instabilità politiche che le «strette» dell'approvvigionamento di petrolio hanno già storicamente provocato.



QUELLI CHE SEGUONO SONO BREVI ESTRATTI DELL’ARTICOLO DA LORO SCRITTO:


Negli anni novanta le compagnie petrolifere hanno scoperto in media 7 Gbo all'anno; nel 1997 hanno estratto una quantità di petrolio oltre tre volte superiore. Tuttavia le cifre ufficiali non indicavano che le riserve accertate erano diminuite di 16 Gbo, come ci si  sarebbe dovuto aspettare, ma che erano addirittura aumentate di 11 Gbo. Questo perché decine di governi hanno scelto di non riferire il declino delle loro riserve, forse per migliorare le proprie quotazioni politiche e non perdere la capacità di ottenere prestiti. Un'altra causa della vantata espansione delle riserve risiede nelle revisioni: le compagnie petrolifere hanno sostituito con cifre più alte le precedenti stime delle riserve rimaste in molti campi. Per la maggior parte degli scopi, queste variazioni non danno problemi, ma le previsioni estrapolate dai dati pubblicati risultano seriamente distorte. Per valutare con accuratezza quanto petrolio si potrà scoprire in futuro, occorre retrodatare ogni revisione all'anno a cui risale la scoperta del campo, e non all'anno in cui una compagnia o un governo ha corretto una stima precedente. Facendo ciò si vede come le scoperte complessive abbiano raggiunto il massimo all'inizio degli anni sessanta, e da allora abbiano continuato uniformemente a decadere. Estendendo questa tendenza fino a zero, possiamo ottenere una buona previsione di quanto petrolio riuscirà presumibilmente a recuperare l'industria. Abbiamo utilizzato altri metodi per stimare la quantità definitiva di petrolio convenzionale per ogni paese (si veda la finestra alle pagine 82-83), e calcoliamo che l'industria petrolifera sia in grado di estrarre ancora 1000 miliardi di barili di petrolio convenzionale. Questo numero, anche se molto grande, corrisponde a poco più degli 800 miliardi di barili che già sono stati estratti. L'investimento di una maggiore quantità di denaro nell'esplorazione petrolifera non potrebbe modificare di molto questa situazione. Quando il prezzo del greggio ha raggiunto il massimo di tutti i tempi, all'inizio degli anni ottanta, i ricercatori hanno sviluppato nuove tecniche per la scoperta e l'estrazione del petrolio, e hanno cercato nuovi campi, trovandone molto pochi: il tasso con cui si sono avute nuove scoperte ha continuato il suo declino senza interruzioni.

PREVEDERE L'INEVITABILE
Prevedere quando la produzione del petrolio cesserà di crescere è piuttosto immediato qualora si disponga di una buona stima di quanto petrolio sia rimasto da estrarre. Noi applichiamo semplicemente un raffinamento di una tecnica pubblicata per la prima volta nel 1956 da M. King Hubbert. Questi osservava come, in una qualunque vasta regione, l'estrazione non regolamentata di una risorsa finita descriva una curva a campana, il cui massimo è situato in corrispondenza del momento in cui metà della risorsa è già stata prelevata. Per dimostrare la sua teoria, Hubbert adattò una curva a campana alle statistiche di produzione e fece la previsione secondo cui la produzione di greggio negli Stati Uniti (esclusa l'Alaska) sarebbe cresciuta per altri 13 anni e avrebbe avuto un massimo  nel 1969 (con margine di errore di un anno in più o in meno). I fatti gli hanno dato ragione: la produzione ha avuto il suo picco nel 1970 e da allora ha continuato a seguire le curve di Hubbert, a meno di deviazioni di importanza secondaria

Il flusso di petrolio da molte altre regioni, come i paesi dell'ex Unione Sovietica e l'insieme di tutti i produttori al di fuori del Medio Oriente, ha pure fedelmente seguito le curve di Hubbert. Il quadro globale è più complicato, dato che i membri mediorientali dell'OPEC hanno deliberatamente limitato le loro esportazioni negli anni settanta, mentre in altre nazioni la produzione proseguiva a pieno ritmo. La nostra analisi rivela che molti tra i maggiori produttori, tra cui la Norvegia e il Regno Unito, raggiungeranno il picco intorno al volgere del millennio, a meno che non regolino drasticamente la loro produzione.
Intorno al 2002 il mondo dipenderà quindi interamente dai paesi del Medio Oriente, e in particolare dai cinque intorno al Golfo Persico (Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), per colmare la disparità tra un'offerta in diminuzione e una domanda in crescita. Ma quando circa 900 Gbo saranno stati consumati, la produzione dovrà iniziare a declinare. A meno che non si verifichi una recessione globale, pare plausibile che la produzione di petrolio convenzionale avrà il massimo tra il 2000 e il 2010. Fatto forse sorprendente, questa previsione non si sposta di molto anche nel caso in cui le nostre stime si rivelino di qualche centinaio di miliardi di barili in difetto o in eccesso

Alla luce della crisi Energetica in atto, l'articolo risulta essere quasi profetico, soprattutto se confrontato con il precedente Post:



venerdì 10 febbraio 2012

Petrolio: il punto di non ritorno è ormai superato

La prestigiosa rivista scientifica "SCIENTIFIC AMERICAN" ha pubblicato, il 07 febbraio 2012, un articolo dal titolo: PETROLIO: IL PUNTO DI NON RITORNO E' ORMAI SUPERATO. Ecco un breve estratto dell'articolo:
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Nel 2005 la produzione globale di greggio convenzionale ha raggiunto i 72 milioni circa di barili al giorno. Da allora in poi, la capacità produttiva sembra aver raggiunto un tetto al livello di 75 milioni di barili al giorno. Il grafico che mette a confronto prezzi e produzione dal 1988 a oggi, mostra questa evidentissima transizione, da un periodo in cui l’offerta era in grado di rispondere elasticamente alla crescita dei prezzi dovuta all’aumento della domanda, a un periodo in cui non riesce più a farlo. 

Il risultato è che i prezzi oscillano selvaggiamente in risposta a modesti cambiamenti della domanda. Già altri hanno fatto osservare che intorno all’anno 2005 c’è stato questo cambio di passo nell’economia del petrolio, ma questo è un punto che va fermamente inculcato nella mente di tutti coloro che hanno il compito prendere decisioni di ordine politico. 


La produzione di petrolio ha toccato il tetto  

Fino al 2005, la produzione ha seguito la domanda, ma poi è rimasta ferma malgrado l’aumento dei prezzi sia continuato. La linea azzurra indica la produzione, in milioni di barili al giorno; quella in rosso il prezzo del petrolio in dollari USA/barile.



Transizione di fase

Il brusco cambiamento verificatosi nell’economia del petrolio è ben visibile nel diagramma di dispersione prezzi/produzione. Sono evidenziate una fase «elastica» (la produzione è in grado di rispondere alla domanda, modulando i prezzi), un «punto di transizione» e la successiva fase «anelastica» (in cui la produzione non tiene più il passo della domanda, con ampie oscillazioni dei prezzi). L’asse verticale indica i prezzi spot a livello mondiale (dollari USA/barile) e quello orizzontale la produzione di petrolio greggio (milioni di barili di petrolio al giorno).

Se la produzione di petrolio non può crescere, ciò implica che non può crescere neppure l’economia. E questa è una prospettiva così spaventosa che molti hanno semplicemente evitato di prenderla in considerazione. Il Fondo Monetario Internazionale, per esempio, continua a prevedere una crescita economica pari al 4 per cento del prodotto interno lordo per i prossimi 5 anni, vicina ai massimi storici del periodo successivo al 1980. Eppure, per realizzarla ci vorrebbe o un eroico incremento della produzione di petrolio del 3 per cento all’anno, o un aumento dell’efficienza dell’uso del petrolio, o una crescita a maggiore efficienza energetica o una rapida sostituzione del petrolio con altre fonti di combustibili. Economisti e politici discutono continuamente di politiche che portino al ritorno alla crescita economica, ma dato che mancano di riconoscere la centralità del problema dell’alto prezzo dell’energia, non hanno identificato la necessaria soluzione: svezzare la società dai combustibili fossili.


Agire più in fretta

Cambiamento climatico e nuovi sviluppi nella produzione di combustibili fossili sono in genere visti come fenomeni separati. Ma in realtà sono strettamente legati. Del rischio di una limitazione dell’offerta di combustibili fossili bisogna certamente tenere conto quando si considerano le incertezze legate ai futuri cambiamenti climatici. Gli approcci di cui c’è bisogno per affrontare gli impatti economici della scarsità di risorse e quelli del cambiamento del clima sono gli stessi: andare oltre la dipendenza dalle fonti energetiche date dai combustibili fossili. 

Mentre le implicazioni dei cambiamenti del clima non hanno indotto che a lente risposte politiche, le conseguenze economiche tendono a spingere all’azione a breve termine. 
Dai dati storici sappiamo che quando i prezzi del petrolio si impennano, l’economia risponde nel giro di un anno. I governi che trascurano di fare i loro piani rispetto al declino della produzione di combustibili fossili subiranno colpi potenzialmente assai seri all’economia ben prima che l’innalzamento del livello dei mari inondi le loro coste o i raccolti agricoli comincino catastroficamente a mancare.

sabato 28 gennaio 2012

ESPLOSIONE DEMOGRAFICA E PETROLIO


Il Petrolio
di Miriano Botteghi

(Il Carbone ha avviato la rivoluzione industriale, il petrolio le ha dato un’enorme accelerazione!)

Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità.
Filippo Tommaso Marinetti – Le Figaro 20 febbraio 1909

L’era che stiamo vivendo, sarà ricordata come quella del petrolio. Il petrolio è ovunque, nei fertilizzanti, nei tessuti in fibra sintetica, nelle plastiche, in molti farmaci, nella produzione di energia elettrica, nel riscaldamento ecc.
Anche se non è la fonte energetica principalmente utilizzata per la produzione di elettricità, dipendiamo quasi totalmente dal petrolio per quanto concerne il mondo dei trasporti terrestri, navali, aerei ed altri simili come quello ad esempio delle escavazioni (miniere, stradali ecc).

Nelle varie fasi evolutive, l’uomo, come qualunque altra specie vivente, ha dovuto trovare, suo malgrado, un equilibrio demografico con le risorse energetiche disponibili.
Nel periodo preistorico, l’uomo, principalmente cacciatore e raccoglitore di frutti, poteva moltiplicarsi solo a condizione che, le risorse di sostentamento,  fossero proporzionalmente disponibili. Tale processo di aumento della popolazione, avrebbe inesorabilmente raggiunto il suo valore massimo, al raggiungimento del picco di tali risorse.
In pratica, le popolazioni tribali, hanno sempre vissuto al limite dello stretto rapporto consentito tra numero di individui e prede disponibili.  C’è infatti un limite fisico, al di sotto del quale non è possibile andare. E’ il limite imposto dalla quantità minima di Joule che un cacciatore deve assumere con l’alimentazione, per sostenere il costo energetico della sua stessa attività di caccia!

Il numero degli abitanti per ogni zona geografica, è sempre stato proporzionale alla disponibilità di cibo e di acqua, e quindi di Energia. Qualunque aumento della popolazione poteva essere tollerato dall’ecosistema, nella misura in cui, le risorse stesse lo avrebbero consentito. La disponibilità di cibo rende possibile l’aumento demografico fino al limite in cui, per sfamare nuovi nati, dobbiamo trovare nuove risorse energetiche. La necessità di sfamare l’aumento demografico della popolazione è stata il motore che ha spinto l’umanità ad espandersi nel territorio, scontrandosi ripetutamente con le popolazioni che ivi, di volta in volta, venivano incontrate.

In pratica, qualsiasi popolo preistorico, raggiunta la massima espansione demografica che le risorse del territorio gli consentivano, in termini di cacciagione e frutti disponibili, aveva poche opzioni di sopravvivenza.  Poteva dichiarare guerra ai vicini, facendo proprie le loro risorse energetiche, oppure poteva dividersi in gruppi, alcuni dei quali sarebbero stati costretti a partire per territori, talvolta molto lontani, alla ricerca di cibo, di nuova Energia e di zone inesplorate. Un'altra possibilità, poteva essere quella di imparare a controllare le nascite e trovare, così facendo, un equilibrio tra il numero di individui e la quantità di risorse energetiche disponibili per kmq. 

Per rompere questo equilibrio, durato decine di migliaia di anni, è stato necessario un netto salto culturale. L’uomo ad un certo punto ha imparato ad usare l’energia solare grazie alla fotosintesi clorofilliana.
Era nata l’agricoltura. La gestione delle acque per rendere possibile l’irrigazione, la messa a punto di tecniche di coltivazione, avevano cambiato le carte in tavola. La disponibilità energetica era aumentata e con lei la densità della popolazione per kmq. Ovviamente un salto culturale di così vasta portata non sarebbe stato possibile senza la scrittura e la conseguente possibilità  di tramandarsi le tecniche necessarie, di generazione in generazione. Le prime testimonianze di tale evento ci sono state riportate dai Sumeri attraverso la loro scrittura cuneiforme. All’epoca, un solo contadino, era già in grado di sostenere l’alimentazione di 4 persone!

Ovviamente l’aumento della disponibilità energetica avrebbe reso possibile l’aumento demografico fino  al limite successivo.

Da una più approfondita analisi dell’andamento demografico mondiale nel tempo, risulta molto evidente lo stretto legame tra disponibilità energetica e densità della popolazione.

Dalla catastrofe di Toba (la più grande eruzione vulcanica di cui abbiamo notizia, negli ultimi 25 milioni di anni), avvenuta probabilmente tra 70.000 e 75.000 anni fa, siamo passati da poche migliaia di individui superstiti a 1 milione di abitanti, il cui sostentamento sostanzialmente era basato su caccia e raccolta di viveri. Si ritiene che, il picco di un milione di abitanti, sia rimasto invariato fino al consolidarsi delle tecniche agricole e di domesticazione, processo iniziato almeno 10.000 anni fa. Il sostentamento basato sulla caccia e sulla raccolta, non permetteva infatti l’incremento costante della popolazione, la cui densità, rimase quindi molto bassa per tutto il periodo pre-agricolo.
In seguito all’affermarsi delle tecniche agricole, l’umanità ha goduto di un deciso aumento demografico. Si stima che, dal 300 al 400 d.C., l’impero romano, contasse dai 55 ai 120 milioni di abitanti!

Nel XIV secolo, la popolazione umana, probabilmente contava circa 400 milioni di abitanti.
Dovevamo attendere però la rivoluzione industriale  (dalla fine del XVIII secolo al 1.850 d.C.) perché l’umanità potesse godere del secondo grande incremento demografico.  Infatti, importanti scoperte scientifiche, avevano indicato il modo di utilizzare i grandi giacimenti di carbone quale nuova fonte energetica universale. In particolare fu l’invenzione della macchina a vapore dovuta principalmente all’inglese Thomas Newcomen (1663-1725) che, nel 1705, insieme ad altri, ne realizzò il primo prototipo, a fare la differenza. In seguito la macchina fu perfezionata dallo scozzese James Watt (1736-1819).

Ma cosa era successo in sostanza? Perché la macchina a vapore è stata la principale artefice secondo il mio modesto parere dell’aumento demografico senza precedenti che, di li in seguito avvenne?
La meccanizzazione dell’agricoltura grazie alla produzione in serie di aratri, unitamente all’utilizzo di nuove tecniche agricole come ad esempio la rotazione pluriennale (in contrapposizione alla rotazione biennale), avevano aumentato di molti fattori la produttività dei terreni, all’inizio in Inghilterra e successivamente nel resto dei paesi interessati dalla rivoluzione industriale. Inoltre la macchina a vapore fece da apripista a tutta una serie di macchine successive, come ad esempio il motore a scoppio e il motore elettrico, che ci permisero di utilizzare ingenti giacimenti di energia fossile disponibile nel sottosuolo del pianeta. Tali macchine c’hanno permesso anche di aumentare di vari fattori la capacità produttiva in qualsiasi settore necessario al sostentamento umano.
Altresì, l’aumento della velocità dei contatti umani, grazie al treno a vapore (utilizzato inizialmente nelle miniere di carbone di inizio 1800 d.C.) e alla stampa, garantivano un nuovo e proficuo fluire delle idee e delle nuove scoperte.

In seguito alla rivoluzione industriale, la popolazione mondiale, in soli due secoli, raddoppiò (470 ML nel 1650 d.C.;  600ML nel 1.700 d.C.;  1.128 ML nel 1.850 d.C.

L’Europa in particolare, nel corso del XIX secolo raggiunse il doppio dei suoi abitanti rispetto al periodo preindustriale. Il numero degli Europei passò da 100 a 200 milioni di abitanti!

La popolazione raddoppiava di nuovo tra il 1850 e il 1930 passando da 1.128 ML a 2.070 ML di abitanti in meno di un secolo. Eravamo infatti in piena seconda rivoluzione industriale. L’era del petrolio e dell’energia elettrica.

Tra il 1.850 e il 1.914, l’Europa fu  profondamente trasformata da un’ondata di innovazioni tecnologiche. La prima rivoluzione industriale, caratterizzata dalla macchina a vapore, aveva automatizzato l’industria tessile e metallurgica. La seconda rivoluzione industriale prometteva di cambiare tutti gli altri processi produttivi. L’energia meccanica iniziava ad essere utilizzata nell’automazione industriale di qualsiasi manufatto. La capacità produttiva dei generi alimentari, dei materiali da costruzione, delle macchine agricole e da trasporto era drasticamente aumentata e con lei la popolazione umana e la conseguente necessità energetica.
Di li a poco, l’umanità avrebbe conosciuto il maggior incremento demografico di cui abbiamo notizia.
La velocità di crescita più elevata la si raggiunse nel 1975 raddoppiando gli abitanti del pianeta in soli 35 anni e raggiungendo i 4 miliardi di abitanti!

Era nato il mito dell’economia SEMPRE CRESCENTE! Qualunque incremento della popolazione o delle sue esigenze, potevano essere compensati da una crescente produttività, garantita da una crescente disponibilità energetica. Trascurando infatti tutti gli altri parametri necessari a mantenere un’economia in crescita, come ad esempio clima costante, disponibilità delle materie prime ecc, una disponibilità energetica crescente è condizione essenziale affinché un’economia cresca.

Il saccheggio delle “riserve energetiche del giurassico”, l’utilizzo massiccio dei combustibili fossili, ha avuto, tra le varie conseguenze, quella di accelerare enormemente tutti gli eventi storici. Gli avvenimenti, prima dilatati nel tempo, hanno subito una brusca accelerazione e sono diventati evidenti, per la prima volta, nell’arco di una sola vita umana.

Ma il mito dell’economia sempre crescente è perseguibile? Oppure è una chimera?
Ogni fisico sa che qualsiasi fenomeno non può crescere illimitatamente in un sistema chiuso e il nostro pianeta è un sistema chiuso!
Ma allora perché alcuni economisti sono di diverso parere?
Io sono dell’opinione che una formazione troppo specialistica, talvolta, renda miope lo studioso, anche davanti all’evidenza dei fatti.

Molti studiosi hanno affrontato il problema delle difficoltà che una popolazione umana in continua crescita, prima o poi avrebbe dovuto affrontare in un mondo finito. Ad esempio Jay Forrester inventore della memoria RAM dei computer, fece una analisi multidisciplinare che chiamò “dinamica dei sistemi”. Questa teoria nota anche come modello dei limiti della crescita (anche noto come modello del Club di Roma, dal nome della organizzazione che aveva commissionato lo studio). Secondo il modello di Forrester, l’aumento esponenziale della popolazione e del consumo di risorse limitate, unitamente all’assorbimento di inquinanti, avrebbe condotto l’umanità verso un grave declino della qualità della vita e verso una drastica riduzione della popolazione mondiale.

Anche il picco della produzione di petrolio negli Stati Uniti avvenuto nel 1970 era stato previsto nel 1956 dal geologo Marion King Hubbert. I suoi avvertimenti furono ignorati ma si rivelarono veri nel 1970 per il petrolio e nel 1973 per il gas naturale.
La crisi petrolifera del 1973 sembrò dar ragione a tutte queste voci. Ma l’interesse verso certi modelli di previsione come quello di Forrester, scemarono all’indomani dell’utilizzo di nuovi pozzi petroliferi al di fuori degli Stati Uniti, già noti ma mai utilizzati. A molti economisti non piaceva l’idea di limite alla crescita economica e alle attività umane. La diminuzione temporanea dei costi petroliferi dovuta all’introduzione sul mercato di nuove e ingenti quantità di greggio, sembrava dar ragione questa volta agli economisti.
Il  costo della benzina, principale indicatore di disponibilità petrolifera, tornò temporaneamente a scendere, insieme alla speranza di riuscire a sensibilizzare gli economisti verso il futuro infausto che ci poteva attendere.
Secondo uno studio effettuato da Charles A.S. Hall (professore al College of Environmental Science and Forestry della State University of New York a Syracuse) e da  John W. Day Jr. (professore emerito al Dipartimento di oceanografia e scienze costiere della Louisiana State University. Entrambi ecologi dei sistemi con diversi interessi e con esperienza nella gestione dell’energia e delle risorse), non esiste una definizione univoca di efficienza economica!

Cito testualmente dal loro lavoro di ricerca (Scientific American, settembre 2009 Nr 493 )
Diversi ricercatori, tra cui gli autori di questo articolo, hanno notato che il consumo di energia (fattore non considerato nelle equazioni degli economisti) è molto più importante di capitale, manodopera o tecnologia per spiegare l’aumento di produzione industriale di paesi come Stati Uniti, Giappone o Germania.
Secondo un’analisi di Vaclav Smil, negli ultimi dieci anni l’efficienza energetica dell’economia giapponese è diminuita del 10 per cento. Diverse analisi hanno dimostrato che la maggior parte delle tecnologie agricole richiede un uso intensivo di energia.
In altre parole, non appena si effettuano analisi dettagliate dell’intero sistema, i ragionamenti sono molto più complessi e ambigui, e si nota che la tecnologia raramente funziona da sé, ma tende a richiedere un consumo elevato di risorse.

In altri termini, una crescente disponibilità energetica è una condizione necessaria perché la produzione industriale aumenti. 
La possibilità di aumentare l’offerta grazie a “esponenzialmente crescenti” iniezioni energetiche,  nel nostro sistema produttivo ha garantito, per anni, bassi tassi di inflazione. L’industria, con operazioni di marketing sempre più sofisticate, stimola ancora oggi il mercato ad acquistare, senza preoccuparsi di non riuscire a produrre quanto richiesto. Il mio lavoro è quello di progettare impianti termodinamici ad alta efficienza energetica. Conosco le dinamiche di questo genere in aziende che stanno espandendo il loro mercato. Si modificano vecchi sistemi di produzione, se ne aggiunge di nuovi e si ricontratta la fornitura energetica con l’ente erogatore, magari raddoppiandola. Quando l’energia è abbondante ed economica, possiamo aumentare, apparentemente senza limiti,  la nostra produzione e preoccuparci solamente di trovare nuovi mercati.

Nell’ampliamento dei mercati è sempre l’energia a giocare il ruolo da protagonista. Il basso costo dei “bunker Fuels” navali (così si chiamano in gergo i combustibile navali) e del Jet Fuel aeronautico, hanno reso possibile stravaganze impensabili in era preindustriale e a bassa disponibilità energetica. Ci possiamo permettere infatti di mangiare pesce fresco proveniente quotidianamente dalle più remote parti del mondo, a prezzi addirittura inferiori al pesce pescato sotto casa.
Nonostante io abiti in Toscana, terra da sempre a vocazione agricola, in grado di produrre praticamente tutto quanto ciò di cui abbiamo bisogno, nel mio supermercato, raramente trovo prodotti locali. Uno studio australiano (il continente più lontano da tutti glia altri), ha calcolato in 70.000 km la media delle distanze percorse da vari prodotti agricoli (un paniere di 25 in tutto) presenti nei loro supermercati, dall’azienda alla tavola. 20.000 km dei quali erano stati necessari solamente per percorrere il vasto territorio australiano, principalmente in camion.
Fino a quando tutto ciò sarà possibile?

Dopo la crisi del 2008 è ormai chiaro a tutti che ci sia una diretta correlazione tra l’aumento del costo del petrolio e l’aumento dei generi alimentari. Tutti ricordano le forti proteste esplose in ben 22 paesi a causa del rincaro dei cereali, all’indomani del superamento della soglia psicologica dei 100 dollari per un barile di greggio. Vi sono state proteste per la pasta in Italia, per le tortilla in Messico e del riso in Asia.

La connessione tra costo energetico e produzione agricola (ma anche di qualsiasi altro genere), è sempre stata sicuramente chiara (per non dire scontata), alla comunità scientifica dei fisici. In epoca preindustriale, il bilancio della produzione energetica da agricoltura era, gioco forza, attivo. Infatti, un agricoltore, per ogni caloria spesa nel lavoro agricolo, poteva ricavarne circa tre di tipo alimentare. Oggi, la grande disponibilità energetica, unitamente all’uso di grandi macchinari agricoli e camion, ha aumentato la produzione a discapito del rendimento. La situazione si è infatti invertita: per ogni caloria alimentare ricavata, ne spendiamo dieci!
L’agricoltura assorbe la maggior parte dell’energia disponibile, rispetto a qualsiasi altra attività umana.
In sostanza stiamo rapidamente trasformando tutte le “riserve del giurassico” in cibo, fino ad esaurimento!


Ma l'era del petrolio a buon mercato è finita
Uno degli indicatori indiretti più illuminanti, sul reale stato della disponibilità petrolifera è il ritorno energetico dell'investimento, EROI (energy return on investment). L'Eroi è costantemente diminuito dal 1930 ad oggi. Negli Stati Uniti ad esempio, nel 1930, il ritorno energetico dell'investimento, era di 100 barili ogni 1 speso (100:1). Nel 2000 era già sceso a 14:1! Ma l'EROI è ancora più basso per il petrolio estratto dai fondali oceanici a 5.000 mt di profondità e in quello derivato dalla lavorazione delle sabbie bituminose del Canada (operazione oltretutto, disastrosamente inquinante!). 
A parità di altri fattori, il ritorno energetico sull’investimento (EROI) è inferiore quando i tassi di perforazione sono alti, perché prospezione e perforazione richiedono ingenti quantità di energia. Oggi l’EROI, negli Stati Uniti, potrebbe avvicinarsi a 1:1 per la scoperta di nuovi giacimenti.


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Miriano Botteghi.

mercoledì 25 gennaio 2012

ECONOMIA REALE E DISPONIBILITÀ ENERGETICA

di Miriano Botteghi.

Lo scopo di questo Blog è dimostrare quanto segue:
  1. la grande disponibilità Energetica di questa fase storica è, direttamente o indirettamente, “il motivo” del proliferare della razza umana sul pianeta!
  2. il petrolio a "buon mercato" è finito e la sua disponibilità ha raggiunto il "Picco", probabilmente, nel 2008.
  3. una disponibilità esponenzialmente crescente di Energia è condizione necessaria affinché l'economia, nel suo complesso, possa crescere.
  4. un eventuale indice globale delle attività economiche presenta, necessariamente, una forma grafica simile a quella del costo del petrolio nello stesso periodo di riferimento a dimostrazione dell'influenza reciproca dei due importanti indicatori.
Prezzo petrolio dal 2002 a novembre 2011:


Baltic Dry Index (principale indicatore di andamento dell'economia mondiale) dal 1985 al 2008:


Il Baltic Dry Index (BDI) è un indice dell'andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie delle navi dry bulk cargo. Malgrado il nome indichi diversamente, esso raccoglie i dati delle principali rotte mondiali e non è ristretto a quelle del Mar Baltico.
Il BDI riassume le informazioni relative alle navi cargo che trasportano materiale "dry", quindi non liquido (petrolio, materiali chimici,ecc) e "bulk", cioè sfuso. Riferendosi al trasporto delle materie prime o derrate agricole (carbone, ferro, grano, ecc) costituisce anche un indicatore del livello della domanda e dell'offerta di tali merci. Per queste sue caratteristiche viene monitorato per individuare i segnali di tendenza della congiuntura economica.


SE PRENDIAMO IN ESAME IL PERIODO CHE VA DAL 2002 AL 2008, IN TUTTI E DUE I GRAFICI, SI EVINCE IMMEDIATAMENTE LA SOMIGLIANZA INEQUIVOCABILE DELLE DUE CURVE, A DIMOSTRAZIONE DELLA DIRETTA INFLUENZA RECIPROCA CHE ESISTE TRA QUANTITA' DEGLI SCAMBI MONDIALI E COSTO DEL PETROLIO!

PREVEDERE L'ANDAMENTO ECONOMICO, ROMPICAPO DEGLI ECONOMISTI, DIVENTA FACILE CONFRONTANDO I DUE GRAFICI SOPRA RIPORTATI. QUANDO GLI SCAMBI TENDONO AD AUMENTARE RAPIDAMENTE (CURVA RIPIDA A SALIRE, SUL BALTIC DRY INDEX), ANCHE IL COSTO DEL PETROLIO SALIRÀ ALTRETTANTO RAPIDAMENTE (NON ESSENDO ILLIMITATAMENTE DISPONIBILE). PIÙ ALTO SARA' IL VALORE DEL PETROLIO RAGGIUNTO (IN $), PIÙ RIPIDA E ROVINOSA SARA' LA DISCESA DELL'ECONOMIA MONDIALE CHE NON POTRÀ SOSTENERNE IL COSTO (COME E' SUCCESSO NEL 2008). 

PERO' ATTENZIONE: DA UN'ATTENTA ANALISI DEI DUE GRAFICI, SI INTUISCE CHE IL COSTO DEL PETROLIO, PUR SALENDO E DIMINUENDO, TENDENZIALMENTE AUMENTA SEMPRE. E' COME QUANDO DUE PERSONE GIOCANDO A PING PONG IN TRENO, DANNO L'IMPRESSIONE CHE LA PALLINA VADA AVANTI E INDIETRO MA, IN REALTÀ, LA PALLINA, VA SEMPRE AVANTI! 

LA VERITÀ E' CHE DA MOLTI ANNI NON VENGONO PIÙ SCOPERTI POZZI DI APPREZZABILE CAPACITA' PRODUTTIVA.  STIAMO ATTINGENDO ALLE RISERVE E, MOLTI PAESI, DA PRODUTTORI NETTI, SONO DIVENTATI CONSUMATORI DEL LORO STESSO GREGGIO. LA STESSA SORTE POTREBBE TOCCARE ALLA RUSSIA, CHE RAPPRESENTA CIRCA IL 5% DEL PETROLIO MONDIALE! LE CONSEGUENZE ECONOMICHE SAREBBERO IMPREVEDIBILI....

IL PETROLIO A BUON MERCATO E' FINITO. L'ERA DEL PETROLIO STA PER FINIRE!

L'EROI CIOÈ IL RITORNO ENERGETICO DELL'INVESTIMENTO, E' COSTANTEMENTE  DIMINUITO NEGLI ULTIMI ANNI. 
IL TEMPO E' SCADUTO, O INVESTIAMO IMMEDIATAMENTE GRAN PARTE DELL'ENERGIA RIMASTA PER SOSTENERE IL CAMBIO DI REGIME ENERGETICO,  OPPURE, RISCHIAMO CHE L'ENERGIA RIMASTA NON SARA' MAI PIÙ' SUFFICIENTE!! 

JEREMY RIFKIN NEL SUO LIBRO "LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE" HA INDICATO A TUTTI LA STRADA GIUSTA DA SEGUIRE PER RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO DEL CAMBIO DI REGIME ENERGETICO. STA A NOI FARE IN MODO CHE LA FINE DELL'ERA DEL PETROLIO, NON COINCIDA CON LA FINE DELLA NOSTRA CIVILTÀ'.


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Frequentavo la scuola media inferiore quando iniziai a domandarmi in che modo l’umanità passò dal baratto alla moneta. Il mondo semplice dello scambio era facile da intuire, immediato. La moneta però è un simbolo del nostro lavoro, del nostro produrre, pensavo! Intuivo già che un eccesso di moneta prodotta, avrebbe causato un eccesso di domanda con conseguente aumento dei prezzi (inflazione)! Come erano riusciti gli stati a calmierare la produzione di moneta proporzionandola al reale prodotto dei suoi abitanti? Quali regole avevano seguito? Immaginavo per semplificare, uno Stato in cui, tutti gli abitanti, scambiavano uova. Le importazioni sarebbero state pagate in uova. La moneta circolante era “l’uovo”, anzi, le uova disponibili! Quelle spese, semplicemente, non c’erano più!

Poi seppi che la quantità di moneta circolante era legata alla quantità aurea delle riserve possedute da ogni Stato. La cosa, anche se intuitivamente sensata, mi confondeva un po’. Mi sembrava che il denaro, simbolo del nostro “produrre”, fosse diventato altresì, “simbolo di un altro simbolo”…. l’oro! Si perché l’oro non ha un valore costante e non è immediatamente collegabile con la produzione interna di uno stato. Ma un senso lo vedevo comunque: l’oro rappresentava le uova messe da parte, ancora disponibili per il “baratto”. Ma c’era comunque qualche cosa che non mi tornava. Le uova hanno un valore tangibile, biologico! Avremo sempre bisogno delle uova! L’oro era davvero in grado di surrogare le uova? In altre parole: in un momento di crisi generalizzata e profonda dell’economia, la gente avrebbe ancora desiderato l’oro come le uova? E in questo caso limite, cosa sarebbe successo? Non avremmo rischiato un eccesso di moneta in circolazione, in altre parole l’inflazione?


Negli anni successivi le mie conoscenze ed esperienze tecniche, mi hanno suggerito nuove prospettive da cui osservare il problema.  Per produrre tutto quello che ci circonda, compreso l’uovo, dobbiamo spendere energia, esprimibile in Joule (l’unità di misura “dell’energia”)! Nel conteggio dei Joule necessari a produrre un uovo, vanno incluse tutte le varie fasi. Per ciascuna fase, saranno necessari un certo numero di Joule. La somma ci darà il totale dei Joule necessari a produrre un uovo. Ad esempio il mangime delle galline per essere prodotto, deve essere seminato in un campo fertilizzato e lavorato. Il fertilizzante, ad esempio il fosforo, deve essere prima estratto poi lavorato e trasportato con grande dispendio di Joule. Poi occorre sommare l’energia per far muovere i trattori fino all’energia necessaria alla consegna delle uova. Una lunga filiera di consumi e quindi di Joule, per avere come prodotto l’uovo, ma anche tutto il resto! 


In altre parole, cominciai ad intuire che l’energia sta alla base di tutte le nostre attività e che la moneta, se avesse dovuto surrogare qualche cosa, questo non sarebbe dovuto essere l’oro, ma bensì, l’energia disponibile!! Di fatto ciò avviene automaticamente. Disporre di maggiore energia, permette incrementi di produzione, in altri termini di aumentare l'offerta. Ne conseguono bassi tassi di inflazione e cioè, un alto potere di acquisto. Viceversa quando l'energia scarseggia, la produzione non può soddisfare la domanda. La moneta si deprezza a causa dell'inflazione. 
Il valore della moneta quindi, è soprattutto conseguenza della disponibilità energetica! Nei momenti di abbondanza, il prezzo del Petrolio si è mantenuto basso, unitamente all'inflazione. Se nel 2008, il Petrolio non avesse raggiunto i 148 dollari al barile, l'inflazione non sarebbe aumentata e, con essa, non sarebbero aumentati i tassi dei mutui subprime!! Non sono stati i mutui a scatenare la crisi finanziaria ma l'eccessiva domanda di petrolio e la conseguente impennata del suo prezzo!! Non va confusa la causa con l'effetto!!


Qualunque “lavoro”, dal semplice muovere un braccio, alla costruzione di una porta aerei, ha un “costo” in termini energetici. Un numero preciso di Joule (o di Watt, se preferiamo il Watt come unità di misura energetica), è necessario per svolgere qualsiasi azione in questo Universo! Siccome la quantità di Energia disponibile nell’Universo stesso è limitata, anche il numero delle azioni possibili, sarà anch’esso limitato.
L'energia è definita come la capacità di un corpo o di un sistema di compiere lavoro.

Ma quali sono le fonti energetiche, abitualmente utilizzate nel lavoro quotidiano, ai giorni nostri?
Il nostro corpo per muoversi trae energia dagli alimenti. Quelli vegetali assorbono energia direttamente dal sole per mezzo della fotosintesi clorofilliana. Direttamente o indirettamente, tutti gli esseri viventi si “nutrono” di energia solare. Il fuoco è una reazione chimica tra un combustibile (ad esempio legna, carbone o petrolio) ed un comburente (ossigeno). Possiamo asserire, usando termini impropri dal punto di vista scientifico ma utili come esempio per aiutarci a capire che, la legna (e tutti i combustibili fossili),  è del tutto assimilabile ad energia solare “condensata”.  
Il petrolio deriva dalla maturazione termica di materia organica rimasta sepolta e senza ossigeno. Anch’esso deve la sua esistenza alla luce solare che dette vita alla materia organica dalla quale ha avuto origine.

Praticamente tutte le fonti energetiche utilizzate ai giorni nostri, tranne una, quella nucleare, hanno avuto la loro origine nel Sole.

Per rispondere alla nostra domanda iniziale, quali sono le fonti energetiche utilizzate nel nostro lavoro quotidiano, analizziamo i vari processi produttivi di un'automobile:

Qualunque artefatto, prima di essere realizzato, dovrà essere concepito. Le principali fonti energetiche per svolgere questo compito sono due, quella elettrochimica biologica utilizzata dalla mente umana (di origine solare) e quella elettrica utilizzata dai moderni Computer. 

Una volta terminato il progetto dell’auto, si passa alla trasformazione delle materie prime necessarie alla costruzione. Le principali fonti energetiche utilizzate dall’unità produttiva sono in genere tre: Elettricità per far muovere le macchine di produzione, biologica di origine solare per far muovere i tecnici addetti al controllo delle macchine, fossile (es. Gas naturale o derivati del petrolio), per riscaldare gli ambienti lavorativi, elettricità per raffreddarli.
Tutte le fasi successive di assemblaggio e trasporto dei componenti necessiteranno delle medesime fonti energetiche.

Da tutto ciò si intuisce quanto segue:

  1. tutti i settori, compresa (soprattutto) l’agricoltura, necessitano di grandi quantità di Energia.
  2. una società sarà tanto più efficiente quanta meno Energia utilizzerà a parità di Prodotto Interno Lordo (P.I.L.).
  3. qualsiasi economia, per aumentare il suo P.I.L., deve aumentare esponenzialmente il suo consumo energetico e/o migliorare la sua "efficienza economica".*
  4. qualsiasi fenomeno (e l'economia non fa eccezione), non può crescere illimitatamente in un sistema chiuso e, il pianeta, è un sistema chiuso!

* A peggiorare la situazione c'è il fatto che, secondo un'analisi di Vaclav Smil, negli ultimi 10 anni, l'efficienza energetica dell'economia giapponese è diminuita del 10%!



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